Intervista

Titolo

Rivendicare lo spazio delle piattaforme come forma d’arte con Cosmos Carl

Autore

Frederique Pisuisse  Marialaura Ghidini 

Data

08/10/2021

Titolo del Progetto

Cosmos Carl 

Parole Chiave

Testo

Marialaura Ghidini: Possiamo iniziare parlando di cosa ha spinto te e Saemundur Thor Helgason a cominciare Cosmos Carl?

Frederique Pisuisse: Nel 2014 vivevamo tutti in una casa a Londra — studiavamo insieme a Goldsmiths: io e Saemundur nel dipartimento di Arte e gli altri due nel dipartimento di Curatela. A un certo punto abbiamo deciso di aprire un nuovo spazio online.
All’inizio di Cosmos Carl eravamo abbastanza interessati al Post-Internet, che stava vivendo una sorta di boom, e al modo in cui l’arte online del momento era: molto basata sul coding o su persone che facevano cose sul proprio sito web, come la documentazione, o che usavano YouTube e a volte Vimeo, e questo era quanto. Inoltre, nel nostro gruppo, ci eravamo resi conto che il modo in cui stavamo costruendo il progetto, come lo scrivere di Cosmos Carl, era usando piattaforme come il Google Drive, che non era molto presente nelle nostre pratiche artistiche. Eravamo stupiti da tutte le possibilità del pacchetto Google Drive, per esempio, ma ci rendemmo conto che non era molto usato per produrre arte, solo per comunicare. Eravamo abbastanza interessati a scoprire se c’era la possibilità di usarlo per creare arte e vedere come avrebbe funzionato.

M.G: Il progetto viene presentato come una piattaforma parassita “che non ospita altro che link forniti da artisti, scrittori, pensatori e curatori”. Puoi dirmi di più su questa scelta di essere parassita? E magari il legame che ciò ha con l’ospitare link web?

F.P.: È stato un processo naturale per noi. All’inizio non ci siamo resi conto che ospitare solo link fosse così importante. La premessa del progetto è infatti diventata chiara dopo che abbiamo avuto due o tre partecipanti sul sito, dopodiché la cosa più incisiva è diventata che Cosmos Carl ospitasse solo dei link web. Il nome del progetto prende spunto dal programma televisivo di Charles Sagan negli anni Settanta [Cosmos: A Personal Voyage]. Lo spettacolo parlava dello spazio, del viaggio, e di come lui sia sempre in questa astronave tra due luoghi. A quel punto, abbiamo iniziato a vedere Cosmos Carl come una sorta di navigatore: vai lì e poi sei immediatamente trasportato fuori in un’altra dimensione, o in un altro luogo, ovunque tu vada.
La componente parassitaria è arrivata un po’ più tardi. All’inizio cambiavamo nome spesso e, ad un certo punto, abbiamo iniziato con “Cosmos Carl – Platform Parasite”. Un parassita ha una cattiva reputazione, ma in realtà è anche una specie produttiva nel modo in cui si attacca a qualcosa e lo usa per il proprio sistema, invece di usare il sistema nel modo in cui è stato concepito. Ciò è diventato anche la bellezza del progetto. 

M.G.: In un’epoca in cui i progetti curatoriali sul web propongono ambienti 3D e schemi di navigazione accuratamente studiati per mantenere lo spettatore all’interno di un dato sito, perché avete deciso di creare una piattaforma che funziona come un contenitore di hyperlink, e la cui navigazione si basa sul cliccare altrove ed entrare in siti diversi?

F.P.: Credo che la premessa di mantenere questo tipo di ciclo di feedback, e i social media che cercano di mantenere lo spettatore su una piattaforma, sia una cosa abbastanza recente — penso alla recente rivelazione da parte di un whistleblower [Frances Haugen] che ha esposto tutte le possibilità che Facebook mette in atto per mantenere le persone sulla piattaforma. Naturalmente, quando abbiamo iniziato Cosmos Carl, YouTube stava diventando sempre più grande e Instagram era ancora relativamente piccolo, ma l’idea che fosse necessario catturare lo spettatore e tenerlo nell’algoritmo il più a lungo possibile non faceva molto parte della nostra consapevolezza e il progetto non voleva essere una reazione a ciò. Ma la posizione da navigatori che stavamo assumendo all’epoca ha invece qualcosa a che fare con questo: si viene a vedere l’arte su Cosmos Carl e si viene immediatamente trasferiti su un altro sito web. Il nostro Google Analytics ci dice che gli spettatori a volte stanno sul sito per meno di un secondo perché ci si va, si clicca e poi si è andati.
Il sito web di Cosmos Carl consiste in una finestra pop-up invece di una nuova, così si è ancora all’interno del sito quando si clicca sul nome di un’artista. Allo stesso tempo, però, eravamo anche molto interessati all’idea che le persone si imbattessero in un’opera d’arte — naturalmente senza rendersi conto che fosse un’opera creata per Cosmos Carl perché non c’è modo di tornare indietro. Quindi l’idea di disturbare i visitatori originali di una piattaforma è diventata una cosa abbastanza importante per noi. All’epoca, l’idea di fare pubblicità e fare soldi sfruttando i propri visitatori cominciò a diventare un po’ più prominente, e quindi una delle conseguenze di ciò che stavamo facendo è che Cosmos Carl era completamente inutile. I dati, sia di Cosmos Carl che della piattaforma specifica in cui il visitatore entrava attraverso Cosmos Carl, erano inutili: è come se provenissero dal nulla. E in questo senso è una cosa abbastanza anarchica. Il disturbare il visitatore e i dati che vengono costantemente estratti, e il fatto che noi non volessimo farlo, è diventato importante per noi. Abbiamo fatto una sorta di controproposta alla raccolta dei dati.

M.G.: Nella mia ricerca attuale sono interessata a esplorare come il lavoro curatoriale sul web interferisce e perturba la tecnologia digitale, come ad esempio le piattaforme e i servizi web e i loro presupposti e comportamenti predefiniti. A parte quello che hai appena detto sui dati, Cosmos Carl è interessante dal mio punto di vista perché ospita progetti artistici che si appropriano di piattaforme e servizi già esistenti con l’idea di (qui cito testualmente dal sito) “rivendicare spazi commerciali”. Puoi dirmi di più riguardo al vostro interesse nel sostenere queste esplorazioni?

F.P.: Negli anni Novanta c’è stato il momentum del culture jamming, per cui la gente reclamava gli striscioni pubblicitari per strada, e Cosmos Carl si inserisce in questa traiettoria. Il nostro presupposto è anche quello di utilizzare la piattaforma scelta da un artista (che si presenta con una serie di Termini e Condizioni) e il fatto che l’artista spesso la usi in modo completamente diverso. Abbiamo un esempio di un lavoro di Josephine Callaghan che ha usato Airbnb per creare un tour segreto tramite un luogo che era elencato sulla piattaforma. Abbiamo anche avuto un interessante contributo di Joseph Ridgeon creato mediante un sito di pornografia amatoriale, XTube, e che faceva un commento su una legge proposta nel Regno Unito per impedire il sesso non convenzionale, come le sculacciate che lasciano segni e il pissing. L’opera presentava video didattici su come creare la propria urina finta per aggirare i Termini e Condizioni [della piattaforma] — questa mattina ho provato a cercare l’opera ma non esiste più perché la piattaforma non c’è più. Abbiamo avuto un altro contributo di Jorik Amit Galama che consisteva in un’intervista con una persona dipendente dalla visione di contenuti video violenti e un poema visivo. L’opera è stata creata in reazione a un video in cui della gente picchiava una signora Russa perché era una senzatetto e aveva presumibilmente ucciso un gatto nella foresta per mangiarlo. Il video era stato postato su un sito web che mostrava un sacco di contenuti violenti, e l’artista ha usato il titolo del video originale come click-bait per creare un poema visivo — una reazione bellissima a questo flusso inconscio di violenza, logica click-bait e contenuti isterici. 

M.G.: Credi che il  tipo di “rivendicazione” che avviene attraverso Cosmos Carl possa essere circoscritto o definito?

F.P.: Non si tratta tanto del fatto che ora abbiamo stabilito un modo di rivendicare qualcosa, ma più in generale di rivendicare lo spazio della piattaforma come forma d’arte, o come uno spazio in cui ora stiamo lavorando insieme. Quello che abbiamo scoperto nel corso degli anni è che, all’inizio, dovevamo spiegare molto attentamente alla persone cos’era Cosmos Carl e cosa ci aspettavamo dai lavori che presentavamo. Mentre ora, abbiamo un sacco di persone che vengono da noi dicendo: “Ehi, ho questo progetto e non ho ancora un esito preciso. Potete esporlo su Cosmos Carl?” Ad esempio, per il prossimo intervento c’è un gruppo di studenti d’arte del dipartimento di Graphic Design della Rietveld Academie di Amsterdam. Nel corso degli anni, è diventato molto più chiaro che Cosmos Carl è uno spazio per l’arte e l’esposizione dell’arte attraverso piattaforme.

M.G.: Qual è il vostro processo di lavoro con gli artisti presentati sulla piattaforma?

F.P.: È una procedura piuttosto semplice perché carichiamo un nuovo link web ogni due settimane, e quindi abbiamo un rotazione abbastanza veloce. Tendiamo a essere abbastanza pragmatici e la maggior parte delle interazioni avvengono online. Offriamo sempre agli artisti di discutere il loro lavoro; per esempio, talvolta gli artisti hanno un’idea per un progetto ma non sono sicuri di quale piattaforma usare per realizzarlo. Io sono sempre a favore dell’utilizzo di piattaforme oscure di cui nessuno ha mai sentito parlare. Ma ci siamo resi conto che c’è sempre questo momento in cui ci sono un sacco di piattaforme più piccole che fanno la stessa cosa e poi quelle più grandi — quelle con più soldi — iniziano ad apparire e cercano di prendere il sopravvento su tutte le altre. Quindi c’è questo tipo di lavoro più oscuro [su Cosmos Carl] che si è perso. 

M.G.: È piuttosto interessante che attraverso le storie di queste opere d’arte si possano effettivamente mappare le istanze dello sviluppo dell’industria del web. È la storia di diverse ondate di nuovi servizi che poi si trasformano nel tempo. Ci potresti scrivere sopra!

F.P.: È anche interessante vedere come certe regole delle piattaforme continuino a cambiare. Per esempio, abbiamo avuto un contributo di Laura Yuile che voleva fare del sapone con dello sputo e della polvere proveniente da Westfield (un grande centro commerciale di Londra) e venderlo su eBay. Ma non le è stato permesso di venderlo perché su eBay non si possono vendere fluidi corporei, così ha dovuto venderlo su Etsy. 

M.G.: Il fatto che le opere degli artisti siano ospitate su piattaforme di terzi significa anche che avete poco controllo sulla loro vita espositiva e gli artisti sul loro funzionamento futuro. Come influisce questo sul corso della piattaforma Cosmos Carl e sul suo essere parassitaria?

F.P.: All’inizio, come dicevo prima, la maggior parte delle opere d’arte che si vedevano online erano sui siti web personali di artisti o nei video su YouTube e a volte su Vimeo. Ma se dimenticavi di pagare per il tuo dominio, il tuo sito veniva immediatamente rimosso. Ovviamente, GoogleDrive e l’intero pacchetto di Google è un modo decisamente migliore per preservare qualsiasi cosa, perché è nel loro interesse mantenere tutti i contenuti in esecuzione — qualsiasi contributo che abbiamo avuto lì è infatti ancora in funzione. Ma la situazione è cambiata nel tempo perché ora tutte queste piccole piattaforme oscure vengono spesso acquistate da quelle più grandi e così i link web scompaiono. Non si sa mai quale piattaforma rimarrà e quale andrà a scomparire. La cosa interessante è che quando queste piattaforme scompaiono, i link web non si estinguono ma finiscono su un sito diverso senza una chiara relazione con il lavoro originale.
All’inizio discutevamo di questo: dovremmo cercare di conservare tutto, o dovremmo, per esempio, archiviare Cosmos Carl attraverso degli screenshot? Abbiamo provato a caricare le opere sull’Internet Archive e vedere se la cosa avrebbe funzionato. Ma poi ci siamo resi conto che questa impresa non era possibile, e la morte di un link web è così naturale nel mondo online che abbiamo deciso di seguire la corrente. Non siamo ancora sicuri se questo sia un bene o un male. Personalmente, mi piace il carattere effimero di tutto ciò e, poiché Cosmos Carl ha un andamento così veloce, è necessario stare al passo con la situazione e di conseguenza non sapere mai quando le cose spariranno. Ci stiamo muovendo con l’habitat naturale.

M.G.: Suppongo che ciò renda Cosmos Carl quasi un’opera d’arte composta da questa dispersione. Lo penso perché spesso i curatori cercano di controllare il modo in cui le cose appaiono, e vengono archiviate e conservate.

F.P: Io e Saemundur non ci consideriamo dei curatori. Lavoriamo con una vasta tipologia di persone che si trovano anche in diverse fasi della propria carriera. La conservazione e l’archiviazione, e il fatto che non le consideriamo una nostra responsabilità, ci distinguono davvero da un curatore. 

M.G.: Ciò mi conduce a una domanda sul pubblico. E in questo senso mi interessa molto quello che dicevi prima sul fatto di non sentire il bisogno di ‘mantenere’ il vostro pubblico. C’è questa idea diffusa che essere online permetta un maggiore coinvolgimento del pubblico, implicando l’idea che la fruizione sia più facile e più accessibile a livello quantitativo. Cosa significa coinvolgere un pubblico online per Cosmos Carl?

F.P.: Non sono d’accordo con la supposizione che ci sia questo super coinvolgimento online. Con Cosmos Carl, spesso ci chiediamo se abbia ancora senso tenere in piedi il sito web in quanto le opere sono effimere, vanno e vengono. Ci sono persone che quasi fanno un’abbuffata e guardano sei, sette opere d’arte alla volta, o persone che magari le scorrono solamente o cercano un’opera specifica da vedere. Ma ci sono anche molte persone che arrivano solo quando il link proviene da un’opera di qualcuno che già conoscono. Scoraggiamo sempre gli artisti a servirsi di piattaforme a cui bisogna iscriversi, perché sappiamo che non funziona: se la gente non arriva subito se ne va. In generale, il coinvolgimento del pubblico online è un mistero. Anche gli inserzionisti e le piattaforme devono mentire su quanto i loro visitatori siano coinvolti, o devono ricorrere a dei trucchi per tenerli sulla piattaforma. Dato che non siamo così interessati a dedicarci a questo tipo di attività, non è un problema per noi che Cosmos Carl abbia questa varietà di coinvolgimento.
Le opere d’arte di Cosmos Carl cercano sempre di trovare il proprio habitat naturale da qualche parte su internet, e Cosmos Carl stesso è anche esemplare di ciò che accade su internet e di come funziona. Pensare al coinvolgimento è più per le gallerie tradizionali. Ma per noi è più simile a: perché siamo qui? [risata]  

M.G.: Come concepite la curatela nell’ambiente online e il suo ruolo nel contesto della produzione artistica contemporanea?

F.P.: Non so cosa posso dire riguardo alla produzione artistica contemporanea se non che c’è questo costante slittamento tra arte digitale e arte online. Recentemente sono stata a una mostra in una galleria che sembrava più un’agenzia pubblicitaria che spendeva soldi per giovani artisti che facevano cose con l’arte digitale, e non c’era alcuna rappresentazione di ciò che Cosmos Carl sta facendo. Si trattava solo di filtri Instagram e mappature 3D, e ho pensato che fosse piuttosto interessante che queste persone avessero così poco interesse per ciò che accade online — questo è sempre stato il caso per l’arte online. Per quanto riguarda il mondo dell’arte istituzionale, si cerca sempre di ricostruire spazi reali e gallerie per mostrare l’arte online, ma la curatela non avviene mai attraverso quegli spazi. Avviene sempre attraverso la documentazione e la rappresentazione. Invece, Cosmos Carl è diretto e, il più delle volte, il suo lavoro non è una documentazione di qualcosa.
Non credo di poter dire nulla in chiave curatoriale. 

M.G.: Anche se non vi considerate curatori, in un certo senso state facendo delle scelte curatoriali. Per esempio, il fatto che non cerchiate di replicare un formato di mostra o un formato espositivo online e invece, come hai già detto, lavoriate con l’ambiente naturale di internet.

F.P.: Cosmos Carl è più una pubblicazione che una mostra. In un certo senso è anche una mostra, ma che tipo di mostra? È una collettiva? È una personale? Qualcos’altro? 

M.G.: In che modo la pandemia di Covid-19 ha cambiato il vostro lavoro, soprattutto alla luce del fatto che i compiti quotidiani di molte persone in tutto il mondo hanno iniziato ad essere eseguiti massicciamente online?

F.P.: Personalmente, ma anche per Cosmos Carl, non è cambiato molto. Per me e i miei colleghi la pandemia non ha avuto lo stesso tipo di impatto come per le persone che vanno in un ufficio tutti i giorni e all’improvviso sono stati privati di questi spazi. Ho lavorato da casa o dal mio studio. Ed è stato solo all’inizio della pandemia che all’improvviso le istituzioni hanno cercato di fare qualcosa online, cosa che non avevano mai fatto prima. Ho ritenuto che fosse molto imbarazzante vedere come credessero di poter affrontare questo problema in un mese o poco più — sono sette anni che noi continuiamo a pensarci e non c’è un formato o una conclusione che si possa trarre che funzioni. Sembrava che le persone stessero cercando di reinventare la ruota, ma in un modo molto tradizionale, facendo una transizione da uno spazio fisico allo spazio online e pretendendo che questo fosse fattibile come una traduzione. Ma in realtà non lo è, perché il web non è una traduzione del mondo offline. Forse questo ha a che fare con il presupposto del coinvolgimento online e del fatto che c’è un mercato. Mi sembra anche che si sia un po’ spento, visto che la fiera d’arte Frieze [Londra, Regno Unito] sta succedendo di nuovo in IRL.
In generale, per me è troppo presto per dirlo. Forse ci sono molte nuove piattaforme e alcune che sono diventate più prominenti durante la pandemia. In realtà ieri stavo pensando al cartone, e al fatto che è diventato super costoso perché la gente ha iniziato a comprare prevalentemente online. Ad un certo punto, inizieremo a vedere tutti questi effetti.